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Diffamazione a mezzo stampa e reputazione


La diffamazione, così come l'’ingiuria, consiste in una manifestazione del pensiero che rileva, ai fini della consumazione del reato, nella misura in cui l’'espressione offensiva venga a conoscenza di un'’altra persona o comunque sia da altri percepita.

L'’offesa è rivolta nei confronti della reputazione della persona che può essere lesa o messa in pericolo da chiunque attribuisca al soggetto interessato qualità o fatti in qualche modo disonoranti. Tale offesa implica in concreto, ma non necessariamente, che la persona si senta colpita nel proprio onore e che ne risenta la sua reputazione in termini di perdita di stima.


Il reato si consuma nel momento in cui l’'espressione offensiva è comunicata ad altre persone e si verifica la diffusione della propalazione offensiva. Dal testo della norma sembra desumersi che, in caso di comunicazione fatta separatamente a più persone, la consumazione segue la seconda comunicazione e tutte le altre rilevano ai fini della gravità del reato per il maggior danno che ne deriva.

La Suprema Corte di Cassazione ha affermato che “la diffamazione è un reato formale ed istantaneo che si consuma con la comunicazione con più persone lesiva dell'altrui reputazione onde diviene irrilevante, ai fini del perfezionamento della fattispecie, una maggiore espansione quando si sia realizzata la propalazione minima, sempre che si rimanga nello stesso contesto di azione”.

Riguardo alla configurabilità del tentativo, questo potrebbe anche configurarsi in astratto, ma la possibilità che si realizzi in concreto è limitata anche dal fatto che, essendo un reato perseguibile a querela di parte, si presuppone, perché si configuri, che il soggetto passivo sia venuto a conoscenza dell’'offesa rivoltagli.


Il bene giuridico tutelato.


Si ha diffamazione tutte le volte in cui taluno, “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione” e non ricorra in concreto una fattispecie di ingiuria.

Tale ultima precisazione, contenuta nella clausola “fuori dei casi indicati nell’'articolo precedente”, sta a significare che un primo requisito negativo del reato in questione è l’'assenza dell'’offeso, il quale si trova nell'’impossibilità di giustificarsi ed eventualmente rispondere all’offesa.

È proprio da ciò che discende, peraltro, la maggiore gravità della diffamazione rispetto all’'ingiuria “per la maggiore quantità ed estensione del danno e per la viltà e la particolare pericolosità del colpevole”.

A tale requisito negativo se ne aggiunge un altro, che incide sulla struttura del reato e sulle modalità di aggressione del bene tutelato dalla norma, dato dalla divulgazione dell'’offesa.


La ratio della norma è evidente nelle ulteriori previsioni che aggravano la fattispecie di reato in argomento, previsioni che sanzionano con maggiore rigore la diffamazione che avviene mediante la stampa o che consiste nell’'attribuzione di un fatto determinato.

La norma de qua è collocata nel capo II, “Dei delitti contro l’onore”, del titolo XII, “Dei delitti contro la persona”, del libro II del codice penale. Tale titolo prevede e punisce i delitti che offendono direttamente beni essenziali dell'’individuo e tra questi è ricompreso, per l'’appunto, l’'onore.

Autorevole dottrina intende per onore “il complesso delle condizioni da cui dipende il valore sociale della persona, l'’insieme delle doti morali, intellettuali, fisiche e delle altre qualità che concorrono a determinare il pregio dell’individuo nell’'ambiente in cui vive”.



La lettera del codice penale è chiara nel ricomprendere nell'’ambito del reato di ingiuria la lesione dell'’onore e in quello del reato di diffamazione l’'offesa della reputazione. Come precisato entrambi i termini afferiscono al concetto principe di onore.

Del resto, mediante le dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie non si fa altro che attribuire a un soggetto qualità o fatti disonoranti, in grado di ledere tanto il sentimento del proprio valore sociale, quanto la reputazione dell’individuo.


La giurisprudenza in tema di diffamazione non parla soltanto di opinione o stima di cui gode l'’individuo, ma anche di “senso della dignità personale in conformità all'’opinione del gruppo sociale” o ancora di “decoro professionale. Vieppiù, sembra riconoscersi l’'esistenza di un minimum di personalità sociale, che rende doveroso un corrispondente rispetto minimo nei confronti di tutte le persone. Al di là di tale soglia viene, poi, riconosciuta un'’ulteriore tutela della reputazione, che è collegata alla posizione sociale che riveste il soggetto interessato. Rilevano, quindi, anche le qualità della persona offesa.

Indubbiamente, si tratta di una considerazione “astratta” delle particolari doti sociali della persona che procede per categorie: si parla in proposito di relatività della reputazione e nelle ipotesi concrete l’'offesa va commisurata al rispetto medio dovuto alle diverse categorie degli avvocati, dei magistrati, degli sposi etc...

Il minimum di valore sociale tutelato è da rapportare al contesto sociale in cui è inserito e, su tali basi, la giurisprudenza ha affermato che non integra il reato di diffamazione la mera “infrazione alla suscettibilità e alla gelosa riservatezza” del soggetto passivo, avuto riguardo non solo alla totalità della popolazione, ma anche ai più limitati contesti di categorie professionali e di specialisti di un determinato settore. Di tal guisa, il sentimento del proprio valore sociale, sul piano squisitamente oggettivo e quindi della reputazione, è “limitato” dall’'apprezzamento che la comune opinione fa o può socialmente fare su quella data persona. È ciò che rileva in tema di diffamazione.

Sintetizzando, la relatività del concetto di reputazione si ricollega, anzitutto, al momento storico di riferimento (basti pensare all’'epiteto “fascista” utilizzato oggi in raffronto al ventennio fascista), in secondo luogo al contesto sociale e, infine, al più limitato eventuale ambito di categoria cui appartiene l'’offeso. Inevitabilmente, si tratta di un concetto elastico “i cui parametri sono destinati a non rimanere fissi nel tempo bensì a seguire … il mutamento della cultura e dei costumi sociali”.

Nondimeno, per verificare tale concetto è necessario “tenere presenti tutti gli indici che siano suscettibili di assumere rilievo al fine di individuare consistenza ed estensione della reputazione di un determinato soggetto”. Pertanto, dal momento che la reputazione racchiude in sé le peculiarità personali, familiari e lavorative di un dato individuo, non si può non tenere in considerazione anche queste per valutare l’'idoneità offensiva della comunicazione che si reputa diffamante. Non si tratta di spostare sul piano soggettivo il concetto di reputazione, che per forza di cose è intrinsecamente oggettivo, ma di rapportarlo alla posizione sociale o professionale dell'’offeso, la cui reputazione proprio in ragione di tale considerazione potrebbe anche non ritenersi lesa o messa in pericolo.


Si pensi alla lotta politica e alle espressioni pungenti e suggestive, sovente, utilizzate dai politici per apostrofare colleghi e personaggi pubblici, al fine di comunicare più efficacemente con i cittadini e carpirne il consenso. Peraltro, anche coloro che ascoltano, da spettatori, tali dibattiti tra politici non colgono il significato offensivo ex se dell'’espressione eventualmente utilizzata, se non come strettamente collegato al problema di interesse pubblico, più rilevante, su cui si controverte

Se nel caso appena citato la tutela della reputazione viene contenuta dal particolare contesto in cui si realizza la comunicazione offensiva, la relatività del concetto di reputazione non può però comportare una modifica in peius della tutela apprestata dall’'ordinamento quando una data persona sia per qualsivoglia motivo disistimata o disonorata. Il che vuol dire che quel minimum di valore sociale, di cui parlavamo prima, va riconosciuto a tutte le persone, che, in quanto tali, hanno una dignità personale e un diritto all'’integrità morale che è indipendente dalla buona o cattiva fama posseduta.


Il rispetto sociale è dovuto a chiunque e il nostro ordinamento non può tollerare aggressioni alla reputazione di soggetti, che, pur essendo già compromessi per altri motivi, non possono avere lesa la propria dignità personale o professionale impunemente. Ciò, del resto, contrasterebbe con i principi della nostra Carta costituzionale e, in particolare, con l’art. 3, che assicura pari dignità sociale a tutti i cittadini.

La giurisprudenza in tali ipotesi ha ritenuto, più volte, di tutelare l'’onorabilità di tutte le persone, anche in presenza di eventi disonorevoli, “essendo la reputazione tutelata tanto come stima che una persona si è conquistata presso gli altri per i suoi meriti, quanto come rispetto sociale minimo cui ogni persona ha diritto, in quanto tale, indipendentemente dalla buona o cattiva fama che abbia”.

È vero, dunque, che taluno possa godere di una maggior tutela della propria reputazione per la posizione sociale o professionale che riveste in seno alla comunità, ma non è altrettanto vero che altri possano risentire delle loro malefatte con gratuite e ulteriori aggressioni diffamatorie a discapito della loro dignità personale.

La Corte di Cassazione ha mantenuto tale orientamento anche trattando del diritto di cronaca giudiziaria.

È il caso solo di accennare all'’orientamento di una parte della dottrina, secondo cui, invero, in tali ipotesi non si potrebbe garantire la tutela dell'’onore a chi ha una reputazione negativa, realizzandosi vieppiù un’ipotesi di reato impossibile ai sensi dell’'art. 49 CP.

Occorre, infine, operare la distinzione tra la lesione del bene giuridico della reputazione e quella del bene dell'’identità personale, al fine di delimitare l’'ambito delle condotte offensive che possono configurare una responsabilità penale per diffamazione.

In genere, quando viene diffusa una determinata notizia o una raffigurazione che incide in qualche misura sul giudizio che altri possano avere sulla persona, oggetto della notizia e della raffigurazione, e sul suo valore sociale, può configurarsi una fattispecie di diffamazione ex art. 595 CP. Perché ciò accada è, però, necessario che si realizzi un'’offesa alla reputazione e non basta che “vi sia distorsione della effettiva identità personale o alterazione, travisamento, offuscamento, contestazione del patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale. In questi ultimi casi potrebbe, al più, configurarsi un illecito civile per lesione del diritto all’identità personale.

Così, ad esempio, mentre non costituisce reato il fatto che il giornalista esprima in certi termini la scelta politica di un dato soggetto, potrebbe ravvisarsi una sua responsabilità penale nel momento in cui attribuisce alla stessa persona un’'opinione che costituisce “un abuso della libertà di manifestazione per il suo contrasto con valori fondamentali comunemente sentiti”. In alcuni casi, poi, potrebbero sussistere entrambe le lesioni, come nel caso in cui le propalazioni offensive concernano i compiti istituzionali di un magistrato, offeso in ugual misura nella sua reputazione e nella sua dignità ed identità personale.

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